“Fa’, o Madre nostra, che nessuno passi mai da questo Santuario senza ricevere nel cuore laconsolante certezza del Divino Amore. Amen”
Sono le parole che il papa Giovanni Paolo II, Vescovo di Roma, pronunciò la domenica 4 luglio 1999 prima della recita dell’Angelus, al termine della Dedicazione del Nuovo Santuario della Madonna del Divino Amore.
Il luogo più bello e commovente che si può ammirare nel visitare il Santuario della Madonna del Divino Amore è la sala degli ex voto, che è come una sala dedicata all'”imprevisto”. Gli ex voto sono migliaia. Tanto che il Santuario stenta a contenerli tutti. Molti sono un segno di riconoscenza alla Madonna per una «grazia ricevuta», altri una semplice invocazione d’aiuto e di protezione. Esprimono la storia e la fede di un popolo, ma ancora di più dicono della potenza e dell’imprevedibilità del Dio dei cristiani. Un Dio che sceglie chi vuole, che opera come vuole e dove vuole, quasi a volersi prendere beffa dei presuntuosi e ridicoli progetti degli uomini. “Qui la gente ci viene, mentre nelle parrocchie devono andare a cercarla”, ripeteva spesso Don Umberto Terenzi, il primo parroco del Divino Amore, anche lui pieno di stupore per quel che sotto i suoi occhi accadeva nel piccolo Santuario di Castel di Leva.
“Il nuovo Santuario di Roma”, così Giovanni Paolo II ha definito il Divino Amore. Per chi non ha dimestichezza con il cristianesimo potrà sembrare un paradosso: in una città dalle mille chiese ricche di storia e di arte; in una città, soprattutto, che fonda la sua fede sul sangue dei santi martiri, l’Onnipotente ha voluto dare un nuovo segno della sua misericordia in questo angolo povero, sperduto e isolato della campagna romana. Ma lo Spirito Santo, che è il Divino Amore, non segue logiche umane.
La storia del Santuario del Divino Amore è profondamente legata a questi segni straordinari che sono i miracoli. Dal primo miracolo, avvenuto nel 1740, che salvò la vita ad un pellegrino, a quello, nel 1944, che risparmiò la capitale dalla distruzione durante il conflitto mondiale. E ancora, dalla straordinaria figura di Don Umberto Terenzi – un “miracolo” lui stesso – ai tantissimi “segni” soprannaturali custoditi, per lo più, nel segreto dei cuori dei pellegrini, il cui sentimento si esprime nella semplicità di un antico canto popolare scritto in una lingua a metà tra l’italiano e il romanesco: “La Madonna del Divino Amore fa le grazie a tutte l’ore. Noi l’andiamo a visitar”.
I miracoli, lo sappiamo bene, non sono tutto nella fede cristiana. Da soli, anzi, non sono sufficienti a dare la salvezza eterna, che si ottiene, invece, con la grazia santificante, cioè con la partecipazione alla vita della Chiesa. I miracoli, però, sono un modo potente con cui Dio richiama l’attenzione, impone sensibilmente la sua presenza. Il miracolo è un avvenimento eccezionale, attraverso il quale Dio scuote l’uomo, quasi lo costringe a badare a lui, ai valori di cui vuole renderlo partecipe. Affinché, in compagnia di Sant’Agostino, si possa affermare: “In manibus nostris sunt codices, in oculis nostris facta” (nelle nostre mani abbiamo le Sacre Scritture, nei nostri occhi i fatti).
È questa l’esperienza delle migliaia di pellegrini che ogni giorno, da oltre 250 anni, offrono le proprie sofferenze, non soltanto materiali, alla Madonna del Divino Amore.